Partiamo con una certezza: le società benefit e le B-Corp non sono imprese sociali. Una società benefit non può essere definita tale ex lege, considerato il divieto assoluto di distribuzione degli utili imposto per le imprese sociali, mentre nulla esclude che un’impresa sociale possa ottenere la certificazione di B-Corp. Tramite la formula benefit corporation, scopi economici e sociali riescono ad armonizzarsi all’interno del medesimo modello imprenditoriale. Un’impresa che vede l’ambiente, i dipendenti e tutti gli altri stakeholder come risorse, alimenta la diffusione di un capitalismo lontano dalle classiche logiche di produzione. E’ una visione che, già da diversi anni, imprenditori illuminati come Adriano Olivetti hanno fatto propria. L’aspetto interessante è rappresentato dal fatto che, per la prima volta, si è di fronte ad un modello imprenditoriale globale e sostenibile che potrà essere applicato in tutti i Paesi del mondo. La vera sfida è se queste società riusciranno ad avere un impatto reale ma, soprattutto, l’individuazione di metriche in grado di valutare le finalità di beneficio comune perseguite.

La società benefit svolge un’attività allo scopo di dividere gli utili e, contestualmente, persegue una o più finalità di beneficio comune, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti della comunità. Per tali imprese il legislatore non ha introdotto né deroghe né agevolazioni: la scelta di intraprendere questo percorso rappresenta pertanto un’opportunità per quegli imprenditori che vogliono valorizzare le proprie azioni nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa oppure in maniera più concreta, che intendono strutturare un nuovo modello di business condiviso. Le società benefit non sono identificabili semplicemente con imprese che aggiungono al profitto l’aspetto sociale, ma che integrano i due temi in una unica mission. Le società benefit, devono riportare, come espresso nella Legge di Stabilità 2016, all’interno dell’attività economica o effetti positivi o ridurre ricadute negative su una o più categorie di soggetti. In tal senso quindi, la società benefit non deve necessariamente produrre esternalità positive, ma può essere definita tale anche esimendosi dall’impattare in modo negativo sugli stakeholder, pur continuando la sua attività principale, di natura economica.

L’impresa sociale, può essere rappresentata come un soggetto giuridico privato e autonomo, che svolge attività produttive secondo criteri imprenditoriali ma che persegue una esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di una intera comunità o di soggetti svantaggiati. L’impresa sociale è tesa alla ricerca dell’equilibrio tra una giusta remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di chi utilizza i beni o i servizi prodotti. In sostanza, si tratta di un’impresa che può coinvolgere nella proprietà e nella gestione più tipologie di stakeholder, che mantiene forti legami con la comunità territoriale in cui opera e che trae le risorse di cui ha bisogno da una pluralità di fonti: dalla pubblica amministrazione quando i servizi hanno una natura meritoria riconosciuta, dalle donazioni di denaro e di lavoro, ma anche dal mercato e dalla domanda privata. Oltre alle suddette caratteristiche, l’impresa sociale si distingue perché esclude la massimizzazione dei vantaggi (monetari e non) dei proprietari. Le imprese sociali, disciplinate dal D. lgs. 155/2006, perseguono uno scopo sociale, che è core rispetto all’attività imprenditoriale. La governance è un aspetto fondamentale delle imprese sociali, che hanno un assetto multistakeholder, tratto distintivo per fare fronte alle esigenze della comunità, attraverso produzione di beni ed erogazione di servizi. Le B-Corp, invece attribuiscono alla governance il peso più basso tra le dimensioni osservate nella valutazione per l’ottenimento della loro qualifica.

Carlo Mazzini, consulente sulla legislazione degli enti non profit e curatore del sito Quinonprofit, pur riconoscendo nelle società benefit una novità positiva, sottolinea come queste possano finire per danneggiare il non profit, in particolare le imprese sociali. Queste ultime hanno come fine quello di fare qualcosa di funzionale per la società, ma devono destinare gli utili all’attività statutaria, senza poterne distribuire nemmeno una minima percentuale ai soci.

“Se non si danno alle imprese sociali e soprattutto ai loro promotori delle ragioni economiche di vantaggio, i finanziatori delle future imprese sociali gireranno la prua verso le B-Corp che consentono ai soci di spartire gli utili e ottenere comunque il bollino di sostenibilità, responsabilità, trasparenza”.